La storia di Godzilla e del suo Gatto

La storia di Godzilla e del suo Gatto

Stavo tornando a casina con la bicicletta dal lavoro.
La mia spòsa me l'ha regalata sta bicicletta dopo che ha visto i miei esami dei triglicicoli e del polistirolo, li ha visti e poi li ha fatti vedere alla sua mamma e lei gli ha detto:
"guarda che valori sballati! E tu marid rischia con sti trigliceridi che gli vengano gli abeti, poi con sto polistirolo qua è sull'autostrada per l'ictus o per un schioppone...
bisogna che faccia un altro esame anche per vedere se ha i calcoli.. Cum'è cus cema cl'esame che ti fan pisciare in te vasetto della marmellata? Ah, se, l'Agricoltura... faglieli fare, dopo se muore te com'è che fai?"; lei si è presa una gran fatta paura, anche perché dobbiamo ancora da finire da pagare il mutuo e lei se ci rimango secco fa fatica a trovarlo un lulone che se la mantenga; aloora a me mi tocca per farla contenta da andare a lavorare in bicicletta. Che poi mica sarebbe sto gran male, quando passi sulla pedalabile a luglio incontri certe spòse che sbiciclettano portando a spasso due burdel, uno davanti e uno dietro e due meloni calibro quattro, uno a destra l'altro a sinistra, con quei cosciotti al vento che si fan le coccole uno con quell'altro... Il problema l'è e cheld! Ti viene sta sudagna che quando arrivi a casa imbirrito dalla visione delle spose in bizicletta, mica puoi da fare due coccole di benvenuto subito a quella lì: te provi a dargli una mezza strusciata, ma lei ti da il cartellino rosso e ti spedisce negli spogliatoi a fare la doccia e dop us fa terd.
Comunque, tornavo a casa passando per il Villaggio dove che han fatto tutti quei condomini nuovi nella terra che era di Ghiatti; belli sti condomini, mica quei palazzoni brutti coi infissi anodizzati di una volta!
Belli, tutti curati che sembra che il progresso edilizio abbia fatto qualcosa per il verso e che i soprusi edilizi non ci siano più.
Stavo passando per una strada che non avevo mai fatto prima, per non farmi sgamare più del dovuto da una sposa in bizicletta a cui avevo radiografato i garetti e tutto il sovrastante apparato gambale; vado per gambiare marcia alla bicicletta e SCATACLANG, la mi scapa fura la cadeina, sta bon che ho fatto sta strada nuova e non la solita che passa davanti alla chiesa del vecchio Don Stolfo...
Sennò vedevi con le biastimie che ho tirato come veniva fuori don Stolfo a purificare la mia anima immonda a forza di Paternostri e di smanarversi! Noi don Stolfo lo chiamavamo don Stolfa tanta era la gnola che faceva quando diceva messa che ti faceva rotolare i maroni sotto ai confessionali, ma se ti sgamava che biastimavi mentre giocavi a pallone all'oratorio, diventava un Cavaliere della Pocalisse. Se provavi a scappare ti dava dietro col Morini 350, brandendo il turibolo a mo' di alabarda spaziale, persinenta nei greppi ti seguiva col Morini, fino a che ti prendeva e lì pregavi perché la tua morte fosse indolore.
Ricordandomi di don Stolfo e chetando il mio impeto bestemmiatorio, scendo dalla bicicletta per provare a riinfilare la catena: vedo che è protetta da un carterino di plexiglass tenuto fermo da una vite che non avevo mai visto: e adess?

Da un giardinetto ben curato esce un vecchietto alto e magro, pieno di aristocratiche rughe, tutto elegante con la sua camicia fresca di bucato, i suoi pantaloni in lino vagamente retrò, il panama in testa e un farfallino rosa, si avvicina paciosamente marziale e con una voce che sa di piadina e sangiovese con una spruzzatina di asma, sentenzia:
"Thorx 25 puntata, lo fan aposta sta gente asiatica per farci da diventare matti, altro che city-mountain-allterrain-bike, una volta con le Legnano a due gambi era meglio: quando tenevi sotto la sella un cacciavite, una brugola e due biastimie potevi da farci la Madrid-Vladivostock senza paura di arvanzare a piedi.. Aspetti qui..."
dopo due secondi vedo sto vecchio ritornare con un carrello da meccanico che gnenca ai box della Ferrari ce l'hanno, apre un cassetto e vedo una dotazione di cacciaviti belli in fila come soldatini, che ci avresti potuto registrare le turbine di un 747 e prende l'apposito cacciavite e taaac rimuove il carter, poi apre un altro cassetto e lì c'è una dotazione di chiavi che se invece di fermarmi con la bicicletta mi fossi fermato con un tricicolo Giordani, con l'Enterprise o un Landini testa calda, mi avrebbe stretto i buloni senza dire beoh, prende una chiave con passo americano inverso da 17/18 e mi stringe la catena che non era scappa, era solo slenta; tutto questo naturalmente mantenendo immacolato il vestito e quelle mani da stregone buono.
Non posso altro che dirgli grazie e lui per tutta risposta mi dice:
"è un caldo del singolare asasino, andiamo in giardino a berci qualcosa, a sua moglie potrà dire che ha fatto tardi perché non riusciva a rimettere la catena che era scappa..."
adesso mi spiegate come faceva questo qui a sapere che a casa avevo una moglie e che di sicuro mi avrebbe tirato gli urecci!
Accetto, aspettandomi da quel vecchio un bicchiere di sangiovese che mi avrebbe stramazzato, invece no, mi fa accomodare al tavolino nel giardino, prende un po' di foglie di menta dalla pianta, due lime dall'albero e mi prepara un mojito, ma no un mojito normale, ci mette il pompelmo rosa al posto della tonica e una goccia di sangue che in realtà è granatina... mai bevuta una roba così buona e così fresca.
Poi tacca a parlare, mentre uno spettacolare persianone nero gli si struscia sulle gambe:
"Vede amico mio, il progresso inventa sempre nuove trappole per farci da diventare matti, la roba costa di meno, ma non si può da mettere a posto e così toccherebbe da andare dal meccanico specializzato anche per tirar su la sella ma la bicicletta e poi dal meccanico non si va perché costa troppo e allora la roba si prende nuova o la si lascia lì sperduta e dimenticata in un cantone... La pusghetta che sto macchinismo qua c'è talmente entrato in testa che ci siamo ardotti a fare così anche con le persone: ci piacciono, le prendiamo e alla prima beghetta via nel rusco o le nascondiamo in un cantone ad aspettare che si dimentichino di noi .. Ah giusto, lui che miagola e giudica è Gatto..."
io gli rispondo:
"è stupendo quel micio, sul progresso che ci frega ha ragione: pensi che a casa ho un gangino cromato, comprato per attaccare l'accapatoio di mia moglie sul gres del muro del bagno, ma non lo posso da ataccare perché sul gres ci vuole una punta a posta e il buso sul gangio è fuori misura... ma guardi quel gatto ha un'espressività che fa paura da quanto sembra umana, sembra che gli manchi solo la parola..."
il vecchio ridacchiando:
"e chi glielo ha detto che Gatto non parla... comunque: il suo gres reclama una punta al vanadiomolibdeno swennson da 5 e trequarti, introvabile, come da copione, dopo gliela presto, così abbiamo una scusa per rivederci, adesso vada a casa che sennò la sposa rugna..."
senza neanche chiedere il nome di quel signore lì e senza che lui lo chiedesse a me vado a casa con sta punta imprestata, il giorno dopo è sabato, la volta buona che la faccio contenta a quella lì.

Il lunedì torno per riportargli la preziosa punta, suono al campanello senza nome, ma nessuno risponde, tranne Gatto che mi guarda curioso e corre verso una tapparella e tacca da rasparla, dalla tapparella esce fuori il volto di una signora coi bigodini che mi dice: "Godzilla non c'è, è andato a fare la terapia";
Godzilla? Quel signore così distinto si chiama Godzilla?
La bigodinosa viene fuori vedendomi sbigottito e io gli chiedo lumi su quel signore e lei prende sto gatto tra le tette e mi racconta con dovizia di particolari da parrucchiera che nessuno lo conosceva veramente quel vecchio che invece di giocare a briscola prendeva a briscole le parole, poteva essere stato in vita sua qualsiasi cosa: un dittatore di anime, un meccanico emozionale, un glorioso senza bastardaggine, un genio, un Pataca travestito da filosofo, un capitano d'industria, uno che aveva vinto all' Esalotto ma aveva perso la schedina, o la cosa più eccezionale di tutte: una persona normale che non si vergogna di esserlo. Mi dice la signora, ma sembra che sia il gatto a dettargli le parole, che Godzilla era arrivato in questa ghignante città Romagnosa, spalmata come una colata di squacquerone sulla riviera, da un po' di anni: nessuno sapeva da dove, ma di sicuro era di ste parti, senti com'è che parla. Aveva comprato senza tirare sul prezzo, questo appartamento al piano terra con ampio giardino nel condominione Andromeda, in cui albergano un ampio catalogo di anime: zitellacce quasiancoragnocche; coppie scoppiate, scoppianti o prossime alla fusione del nocciolo emotivo; mafiosi sentimentali diventati collaboratori di giustizia relazionale; famigliole quasibene; furfantazzi dal cuore d'oro; bambini tricicolanti sul pavimento alle tre di notte; poveracci che non solo non arrivavano al ventisette, ma nessuno li pagava al ventisette; sposini novelli da quarant'anni ancora stillanti sciropposi parole d'amur; ex ricchi ed ex poveri (in italiano”Bdocc Arfat”).
Nessuno conosceva il nome del vecchio, tutti lo chiamavano Godzilla e a lui stava bene quel nome: Godzilla.
Un lucertolone che nessuno sa da dove sia venuto e cosa casso gli sfrulli in testa; un pacioso Megasauro buono e caro, ma che non dovevi da rompergli i maroni; un volto solcato da un milione di rughe, come un Varano Padano, rughe in cui si potrebbe leggere il destino del mondo se solo quegli occhi grigi non ammaliassero con le loro verissime bugie...
Poi sta arzdora 2.0 in estasi da ciacara, continua dicendomi che una colossale Ciolanka Sovietica, delicata nei modi come un rompighiaccio nucleare col timone scassato, gli va a far le pulizie, tutti i giorni: non è che sia necessario, ma lui adora l'ordine,( e io penso: quasi che l'ordine fuori gli permettesse di godersi l'invisibile anarchia dei propri pensieri). La signora mi racconta anche che la colossale Ciolanka Tatiana, un giorno gli smollò tra le mani sto cucciolo di persianone nero che lei si stringeva al petto, dicendogli:
questo gatto era di una signora da cui andavo, ma il destino se l'è portata via e sto micio è rimasto da solo, lei Godzilla è solo, sto gatto le può fare solo bene, non le sto chiedendo se lo vuole, sto dicendo di tenerselo!”..."ma a me", continuò l'arzdora impicciona: " fa strano sto gatto: capita molto spesso, che lo snobboso felino la notte se ne va in pellegrinaggio alla ricerca di pelo di gatta e nel suo peregrinare spia di nascosto quello che accade e quello che si dice negli appartamenti del condominio. Farà strano, ma sembra che sto batuffolo di pelo nero sappia ascoltare: entra nelle case e, invece di beccarsi una ramazzata, succede, ho sentito e sento con le mie orecchie, che ogni condomino gli racconti una storia... oh eccolo che torna il signor Godzilla..."
Godzilla si palesò:"Amico mio carissimo ha tacato il gangino, l'ha fatta contenta? Entri pure che ci rifacciamo un mojito e due ciacare..."
Io ubbidisco ed entro e Gatto tacca a strusciarmi, poi chiedo al vecchio: "Signor Godzilla, posso da chiamarla così? Certo che l'ho montato seguendo le sue istruzioni alla lettera, ma lo sa quella lì cosa mi ha detto appena ha visto la sua punta che sembra spudoratamente nova? "Ecco al saveva un altro dei tuoi attrezzi che li compri solo perché sono in offerta e poi li usi una volta e poi ti ascordi d'averli", gli ho anche detto che me l'ha imprestata un signore gentile e lei starnucchiando e respirando a random come il mantice di una fisarmonica mi ha detto:"ci avrà mica un gatto sto qua, si che ce l'ha un gatto, guarda i peli che ti sei portato dietro, lo sai che son lergica... guai a te se ci ritorni!"
Godzilla ridacchia e dice: "Gatto non perdona!Faccia così, la prossima volta che alla Cacciaviteria Romagnola lei trova in offerta la serie completa di cacciaviti Phillips con punta isolata, la compri, poi sua moglie gli dirà quella roba lì:"cos'è che te ne fai che li usi una volta se va bene e dopo ti ascordi d'averli o non hai occasione di usarli?" allora lei amico mio le le sorrida e le prenda la manina, dolcemente come un innamorato e la conduca davanti alla sua scarpiera e apra tutte le ante, le giuro che capirà: le farà una faza storta isè, ma almeno starà zitina na muliga..." e io "guardi che è proprio così, quella li ha un parlamento di scarpe, stivali e sciafle che la metà basta, pensi una volta ero disperato,io ho tre paia in tutto di scarpe e mi toccava da tenerle infilate sotto i mobili del mio bagnetto di servizo perché tutta la scarpiera era occupata da lei e allora sono andato all'ikea e ho preso una sogliola di scarpiera da insteccare in quei venti centimetri dietro la porta del bagno piccolo, appena mi ha visto ha taccato la sua litania ma perché sei andato a spendere i soldi chissà cosa ce ne facciamo di un'altra scarpiera? Pensavo proprio che me la avrebbe fatta riportare indietro, ma sapeva che l'avevo presa all'ikea, il vedermi smadonnare cercando di montare quel cancaro col nome da troll era per lei già una punizione;comunque sia sa che fine hanno fatto le mie scarpe? tre anni dopo solo un paio resiste assediato nella striscia di Gaza in fondo alla scarpiera,invasa dalle tribù dei Sandàli e dei malvagi De Coltè... le altre due vagano apolide e sperdute come zingani per la casa."
Godzilla rispose:"ah le donne, se non ci fosse toccherebbe da inventarle, io ho una idea pazza da sempre, una volta uno disse "Dobbiamo riscoprire il femminile, perché salverà il mondo" e io aggiungo: e male che vada, se le donne non riusciranno a salvare il mondo, riusciranno perlomeno a mettergli delle tendine decenti, sapesse quante cose Gatto ha scritto sul tema..."

E Gat? Adess e Gat e scriv enca?

E io lo guardo storto a Godzilla, ma ho cominciato a conoscerlo, cià sto sguardo e sto modo di fare che non si capisce mica se:
1) Ci fa.
2) Ci è.
3) conosce robe che noi umani non riusciamo neanche da immaginare.
4) Ut ciapa per e cul.
Adulato dal mio essere sorpreso, Godzilla chiappa una cartellina in pelle e tira fuori dei fogli stampati in Times New Roman 12 e mi legge la storia di un tipo che ha incontrato Gedeone, il genio di Riccione: io la ascolto esterrefatto, poi da quella cartellina tira fuori storie su storie e me le legge, mentre il mojito mi scorre nella gola e nell'anima...

L'incanto di quell'aperitivo che sa di magia,viene interrotto dalla sua voce:"Uh, amico mio, ho paura che stasera quellalì la briscoli di brutto si son bel a che fatte le otto.."
E io come svegliato da un sogno: "Grazie, è meglio che vada... lo sa sig. Godzilla, per un po' non ci potremo rivedere, sa devo preparare la macchina e le valigie, tra tre giorni partirò per le ferie, due settimane in montagna, posso tornare a trovarla quando ritorno? Le storie di gatto sono spettacolari!"
"Certo, anzi, visto che ci vedremo a settembre, che fra un paio di settimane devo andare anche io in vacanza in un posto che non le dico, tenga qua la cartellina con alcuni racconti di Gatto, gliela presto volentieri! Le farà compagnia su in montagna quando che pioverà e si sarà scartavetrato i maroni di giocare a scala quaranta o di aspettare che sua moglie torni dal beautycenter, adesso vada che sennò mi toccherà di venirla a trovare in ortopedia, che quellalì le cianciga gli ossi, ci vediamo!"

Per quindici giorni che danno un senso agli altri trecentocinquanta, eccomi finalmente, miracolosamente:
SOLO: a godermi attimi di indecente estasi montana;
SOLO: seduto come un re o un pappone in pensione, sul trono in candida ceramica nel bagno che profuma di pino mugo, bagnodoccia al lime e crauti sfiatati in questo tre stelle wellness hotel edelweiss; SOLO: a godermi la pace assoluta e il teporino del golfino sulle spalle ad agosto;
SOLO: mentre la spòsa è lontana anni luce perché andata di sotto come tutti i giorni di sta vacanza, a farsi pastrugnare al centro benessere con lo stesso entusiasmo disinteressato ma bellicoso, ma disinteressato, ma bellicoso di una paralitica che va a Lourdes;
SOLO: a cercare di captare il ritmo della pioggia sul meleto che sembra scandire i minuti del tempo degli dei o i minuti che mancano alla cena;
SOLO: con la matta sensazione di un persiano nero che mi osserva mentre seduto coi calzoni ai ginocchi sfoglio i fogli coi racconti che mi ha dato Godzilla;
SOLO: con l'idea di chiamare il mio amico che ha la moglie che fa le pulizie al giornale per vedere se conosce qualcheduno a cui far vedere sti racconti per pubblicarli!
Finite le ferie, decido di tornare da Godzilla. Prendo la macchina e durante il tragitto, noto un gesto d'amore e sento dietro di me un gran strombazzamento e penso: "cosa cavolo ti suoni? Uno non può rallentare in secondo per godere dell'immensa tenerezza di una persona che si china e raccoglie un cagnolino sul ciglio della strada? Se solo tu essere strombazzante potessi vedere la poesia di quel gesto di donna, potessi vedere l'amore che sprigionano quelle mani da ragazza, potessi vedere il culo che gli sbuca fuori da quei panta attillati..". e penso a come Godzilla avrebbe commentato l'episodio. Non vedo l'ora di raccontarglielo!
Arrivo a casa del vecchio, ma non ho trovo Godzilla, ma dei signori che stanno portando via il mobilio, con loro la vicina: mi indica. Uno di quei signori, quello più elegante prende un pc portatile e mi si avvicina e senza inflessione alcuna mi dice:" penso lei abbia saputo, sono l'esecutore testamentario, il signor Baschetti le ha lasciato questo portatile e tutto quello che c'è dentro, metta una firma: signor?" la menta era sflosciata, non un lime sull'albero, Gatto era sparito e nessuno sapeva dove fosse, da una radio giunge una mazurka, nel mio cuore: un blues...
Torno a casa e mi sento come se mi avessero portato via il carburatore dell'anima, lo spinterogeno del cuore, il mio personal gruppo elettrogeno emozionale, la sposa non se ne accorge, solo io so: accendo il pc ma è protetto da password...
Provo tutta la notte e tutte le notte seguenti ma non la trovo: lì dentro c'è Godzilla Baschetti, devo trovarla, ma gnint da fè: lui esiste ancora e sta danzando come un elegante pataca un tango da balera in mezzo ai bit e ai file, ma non posso farmi offrire da lui un sorso di allegria. Piango per milioni di notti lacrime che scorrono dentro e mi fanno inruginire i ruotismi emozionali, finchè non rinuncio e lascio il pc spento sulla scrivania.
Poi una sera sento la spòsa che sbraita e starnutisce e vedo le tende del salotto smagliate e il divano con uno strano sbrego, un ghirigoro rococò, la firma di un vero artista: rido di una divina allegria e vado verso la scrivania, trovo il pc portatile di Godzilla acceso, SBLOCCATO, ciuffi di pelo nero sulla tastiera e sul desktop questo file word aperto:

Il posto dove andò il signor Matteo

Il signor Matteo, dopo aver manovrato e riprogrammato con perizia da ingegnere nucleare le valvole elettroniche che chiudevano le flebo e i cateteri di acqua, potassio e fertilizzante dosati con cura, che dopavano e tenevano in vita il suo giardino, sfidando il sole d'agosto e dopo aver spazzolato quella miniera di morbidume ed allergeni che era il pelo del suo persiano, si mise a guardare il preserale estivo del primo canale lumando con disgustato, saccente interesse gli scampoli di cute offerti in sacrificio alla nazione dalle quattro giovin fanciulle coreograficamente zompettanti; per un attimo si disse quello che tutti i vegliardi dicevano:
"Ai miei tempi, le donne non erano così, o stavano in casa a sfornar marmocchi e partorir ciambelloni, o si rompevano la schiena e il cervello per studiare e diventavano dottoresse più brave dei dottori uomini!".
Poi con un'allegra malinconia pensò a quello che il suo amico Egisto, detto Treccani, diceva sempre:
"Matteo, non è che son le donne di oggi a esser così, sono i tempi che le fanno risaltare di più: Eva (che non dovremmo mai smetter di ringraziare...), Cleopatra (che era gnocca,si, ma oltre ad erigere obelischi di ciccia, li erigeva anche di solida pietra...) Elena (sarà poi stata poi solo sta gran bagascia?), Messalina, Salomè... non è che le ha inventate un creativo di Milano due, ci son sempre state!".
Egisto anche lui era del venticinque come Matteo, la loro amicizia era durata ottant'anni, fino a che un Malebrutto se lo era portato via, cinque anni prima. Matteo ed Egisto nacquero nello stesso paese, presero la stessa tetta (come si usava una volta), fecero le stesse scuole e a diciotto anni ripresero la stessa tetta: quando il fattaccio scappò fuori, i due invece di sfidarsi a cazzotti e rompere l'amicizia, presero le loro canne da pesca da poveracci senza mulinello e andarono al fiume e li pescarono in silenzio e in silenzio si chiarirono e più di prima amici furono.
Egisto poi era diventato ragioniero del comune e aveva continuato a leggere e a pensare strambo, tanto aveva Matteo che lo capiva...
Matteo, invece, era diventato un impiegato contabile in una grossa ditta: una solerte formichina senza identità, che divorò per cinquant'anni pratiche. Matteo aveva trovato il rifugio a quella sempiterna gnorgnia burocratica nella vita coniugale con la sua Teresa, ma la Teresa non c'era più: gliel'aveva portata via un ingorgo alle coronarie quindici anni fa e lui per non rivedere ogni giorno le tazze sbeccate che non si volevano buttare, per non guardare quella porta del bagno senza poter dire: "alora Teresa, tat mov...!", per non sentire più quel profumo di peperonata e amore che non riusciva a scrostare dai muri manco con la varachina, aveva venduto la sua casa e si era trasferito al mare e aveva arcominciato un'altra vita.
Giunsero le otto, il signor Matteo con la sua bella calma, sbrogliò la tavola, mentre gli scivolano addosso le notizie del tiggì, l'indomani sarebbe venuta la Tatiana, la Russa, non voleva che la casa sembrasse trasandata.
Tatiana era una colossale locomotiva sovieta overcinquanta, dai modi spartani e pragmatici, con due gambe lunghe e toste come due abeti della siberia, due occhi chiari, metallici e splendidi come un'alba a Vladivostok (non era mai stato a Vladivostok, Matteo, ma secondo lui, le albe in quella città avevan da esser così...) e una voce da mezzosoprano: anzi quello era stata, prima di dover andare a pulire le case degli italiani a causa di una laringite cronica che deturpò la sua voce cristallina e Matteo spesso le chiedeva di accennargli qualche aria e lei smollava il suo piglio freddoso e faceva la preziosa come una gattona innamorata, ma poi lo accontentava, si slacciava i tre bottoni sopra della camiciola per rimpinzar d'aria quei due Zeppelin smollacciosi da reato di cui era sanissima portatrice e gli eleganti 90 metri dell'appartamento del vecchio diventavano l'Arena, la Scala, la Fenice...

Altre gioie gli dava la Tatiana, niente di di malizioso (anche se ci pensa il Matteo, osta se ci pensa, a quei due Zeppelin lì e delle volte gli si imbarzottisce alquanto pure la pelle di daino pendula...), ma la Tatiana sapeva come farlo felice: la Tatiana gli aveva detto che l'indomani gli avrebbe portato, in cambio del mojito del vecchio, il Dolce e il Bum: il Dolce è una specie di torta strozzacristiani, scura ed inquietante dalla masticabilità del poliuretano estruso di cui ogni fetta ha un contenuto calorico tale da mandare in coma diabetico duecento boscaioli della taiga: per astrozzare sto malloppo dalla arcana composizione, ci vuole un dieci ml di Bum: il Bum, così lo chiama lei, è un distillato artigianale prodotto nelle campagne di Chernobyl, fatto con sedano rapa fraido, diesel speciale per rompighiaccio, aringhe affumicate e plutonio ceceno, aromatizzato al ginepro.
Quando il Matteo assume il Bum, dopo l'iniziale "oddio, stavolta ci rimango secco", gli attacca sta reazione da soda caustica e napalm nel dotto esofageo e smolla un gran Bordone di scoreggia ripulitoria e fetida, indi gli si alzano i BPM nella pompa cardiaca e si sturano i valvolaggi, gli arriva sta gran vampata di caldone che gli sregola la carburazione e gli va fuori giri il cervello...
Insomma gli succede come quando nella Miscela ci mettevi un po' di Olio di Ricino; per una mezz'oretta buona, si sente come da giovane, con la stessa energia di quando tornava a casa dai veglioni in sella al suo Moto Guzzi, con le tette della sua Teresa che gli punzavano sulla schiena e con sto freddone che gli congelava il baffetto e gli intizzava il piripillo: insomma per mezzora è felice, poi si indormenta.
Mentre pensava alla salvifica dose di Bum, che l'indomani avrebbe peccaminosamente prima rifiutato, poi assunto, al Matteo venne un Rusgo: tra la sua asma e le secrezioni multiformi e caleidoscopiche di sti polmoni oramai belli e arrivati al capolinea, ogni tossire era un tormento. Di solito, quando stava benino, sembrava che nei polmoni avesse un deposito di grattugie sbeccate a mollo nell'acido muriatico, cui bastava il minimo sussulto tossitorio per farle cozzare contro le pareti bronchiali con gran dolenza e soffocato bestemmìo, ma ci si era abituato; ma quella sera era peggio: sembrava che Belzebù in persona medesima, avesse deciso di ristrutturargli le pareti polmonari con il flessibile, disco diamantato da ferro e allora ogni Rusgo era una Somma Bestemmia. Per rimediare corse in bagno e inalò cortisone come un condannato ciuccia l'ultima Marlboro, poi andò in camera e si attaccò per un minuto buono alla bombola dell'ossigeno: non è che gli fosse proprio indispensabile, averla quella bombola, ma il suo dottore era buono e gliela aveva fatta mettere: “perché soffire”, diceva il buon dottore?
Già perché soffrire, pensò Matteo, mentre si preparava per andare a letto (si eran quasi fatte le nove, era ora...), aveva avuto una buona vita, la Teresa gli aveva voluto bene per davvero: non quel bene di plastica da televisione, non quel bene che va tutto bene, ma non va niente bene...
Poi il Destino porco e assassino gli aveva portato via il suo figlio Luca: la mattina del suo quarantesimo compleanno, Luca era partito con la macchina per andare al lavoro, dopo aver baciato il pancione della sua Anna, ma al lavoro non ci era mai arrivato. Ma poi sto gran figlio di tredici puttane zoppe, sifilitiche e anoressiche, che è il Destino, per farsi perdonare, gli aveva regalato un nipotino, Simone e a settantanni con la morte nel cuore, Matteo cominciò a rivivere, poi quando Simone aveva tre mesi, lo Stronzo Mietitore, gli portò via la Teresa, ma lui aveva da badare a Simone e tirò dritto.
Ma ora anche Simone era grandino e presto non avrebbe avuto più bisogno del nonno, non lo andava neanche più a trovare Simone al nonno... forse il mondo intero non aveva più bisogno del nonno e delle sue allegre sparate: con una lacrima lungo le rughe, accarezzo il micio di casa e dopo l'ultima ciucciata di ossigeno, pensando alle tette della Tatiana e alla gran voglia di bersi una damigiana di Bum in una botta sola, si addormentò.



A risvegliarlo fu lo stridore lagnoso dei freni di una bicicletta che passò vicino al lui, Matteo era su una panchina in un parco molto ben tenuto; si disse: "Sto sognando!" e invece di svegliarsi come quando ci si accorge che si sta sognando, si sentì crescere nel petto la consapevolezza che da quel sogno non si sarebbe mai più svegliato.
Poi ascoltando il fresco profumo dei fiori del parco, capì: non c'erano sanpientri chiavomuniti, non c'era una commissione d'inchiesta togata che giudicava, non c'erano tunnel con luci in fondo... Ma la cosa era bella chiara ed inequivocabile.
"Allora è forse così che funziona? Stiamo da vedere..." si disse, poi si guardò le mani, eran le sue ma non quelle grinzose che ricordava di avere, ma quelle di quando aveva preso per la prima volta per mano la Teresa, le sbatté; poi si alzò sentendosi un frizzante vigorino negli ossi, era lo stesso vigorino vigile che provò quando entrò nei partigiani e per festeggiare gli diedero del grappone artigianale; poi si accorse che aveva ancora l'asma, ma invece di fargli male, era tornata ad essere un rumorino di fondo come quando aveva trent'anni; era ansioso di vedere il suo volto e chiese a una signora sulla trentina, elegante ed aggraziata in tailleur pesca, che si stava rifacendo il trucco li vicino lo specchio, la signora con fare estremamente cordiale gli rispose: "Lei deve essere nuovo nuovo: benvenuto! Ci si abituerà e vedrà che non ci si trova male qui, tenga e faccia con comodo, è strano la prima volta, lo è stato anche per me..."
Gli prese un mezzocolpo, vedendo il volto di quel giovinastro bello e tonico, chi era?
Poi la signora capendo lo stupore di Matteo, gli spiegò: "Funziona così, qui noi siamo come la nostra migliore proiezione di noi stessi, avuta nel nostro tempo migliore, lei si considerava di certo un bell'uomo a vent'anni, complimenti al suo amor proprio..." Matteo rispose: "Comincio a capire, ma sono confuso ancora, comunque complimenti anche a lei signora,per la sua eleganza "la signora rispose: "Galante ed educato, avrà parecchia fortuna da queste parti, ora debbo andare, buona fortuna, forse ci rivedremo" e se ne andò.
Matteo cominciò a girellare per il parco per capire l'andazzo, era veramente ben tenuto, c'era un laghetto con un cartello giallo sentenziante: "E' SEVERAMENTE PERMESSO PESCARE!" vedendolo si ricordò della risposta che Egisto a dodici anni gli diede alla domanda su come fosse il Paradiso: "il Paradiso, Matteo è un parco con un laghetto con carpe da mezzo quintale, cavedani che sembran Moby Dick e carassi buoni da mangiare, che ti fan l'applauso con le pinne quando li tiri su; intorno a sto laghetto ci son delle panchine col poggia canne incorporato e ogni tanto passa il guardiano e si incazza se non tiri su niente e allora ti da della esche talmente buone che i pesci quando le vedono, si mettono il tovagliolo a bavaglino e prendono forchetta e coltello, per gustarsele meglio; poi dalla fontanella non sgorga l'acqua, ma la Tassata Cedroni o il Gingerino Recoaro se è stagione; e poi dietro la siepe c'è sto capanno in legno, che poi è lo spogliatoio con le docce della squadra di ginnastica femminile delle magistrali: ci son dei buchi belli comodi ad altezza giusta... poi dimenticavo, all'ingresso del laghetto c'è sto cartello giallo con scritto: E' SEVERAMENTE PERMESSO PESCARE! ".
Matteo verificò quanto tutto fosse rispondente alla profezia di Egisto (tranne il capanno, toppa grazia...), poi con allegria si mise a pensare ad Egisto, lui sapeva sempre tutto, lui gli avrebbe spiegato per filo e per segno l'andazzo di quel posto...
"Oh, sei arrivato! Chi non vive si rivede..." si sentì dire alle spalle: su una panchina del laghetto c'era Egisto, Matteo trattenne le lacrime e gli disse: "Oh, non vorrai mica dire che sarò costretto a sopportarti anche di qua? Poi guardati come sei conciato, te sembri un'ottantenne elegante, con lo stesso vestito che avevi nella cassa da morto, io guarda invece come son giovane e sburone!" Egisto spiegò: "Guarda patacca, che qui le persone che abbiam conosciuto di là, ce le ricordiamo come la volta che le abbiamo viste veramente serene, te t'arcordi quanto ho bacilato col mio malaccio che mi sgrattuggiava le frattaglie e mi toglieva i sentimenti e una volta piangendo mi dicesti che avresti dato una gamba e un'occhio per rivedermi sereno e nel cofanone di rovere mi hai visto sereno... se sapessi come mi vedo io e ti vedo a te... hai presente quando siamo andati a ballare quella sera del quarantasette al Maracaibo e abbiam fatto quella gatta da comunione e abbiamo imbarcato quelle due di Milano? Ti ricordi come eravamo belli, sboroni e SERENI quella sera?"
Matteo abbracciò Egisto e gli disse indicando due canne da pesca fisse vecchie stronche per terra: "Adesso proviamo a tirar su qualcosa, poi mi spieghi come stai e come funziona qui, te sei arrivato prima..."
Matteo taccò con le domande: "Come mai Gisto, quando ho cominciato a pensare a te, te sei arrivato?"
Egisto: "Perché nello stesso momento anche io stavo pensando a te, qui non siam costretti a sopportare gli altri, se pensiamo ad una cosa bella fatta o che vorremmo fare con gli amici e loro nello stesso momento hanno su di noi un pensiero bello, in qualche maniera e per qualche motivo qui ci si incontra..."
Matteo: "Ma tutti finiscono in sto bel parco, compresi gli stronzoni che han fatto del male? Poi c'è qualcosa fuori da sto parco?"
Egisto: "Per forza c'è qualcosa fuori di sto parco, vorrai mica campare per l'eternità a mangiare cavedani crudi, patacca! Se guardi nel portafoglio c'è la tua carta d'identità col tuo indirizzo, farai un po' fatica a trovarlo la prima volta, ma sarai sorpreso quando lo troverai... poi per quello che riguarda la prima parte della domanda è si: persino chi ha commesso i più atroci delitti ha diritto di stare qui, ma non preoccuparti, in ragione di quello che ti ho spiegato prima, a meno che tu non pensi a quanto sarebbe bello andare a giocare a tresette con Adolf e che lui contemporaneamente non pensi la stessa cosa, non vi incontrerete mai: altro che miasmi dell'inferno e rustide di anime sulla gradella: se uno nella vita non è stato capace di voler bene a nessuno e nessuno ha mai avuto un pensiero bello su di lui, sarà costretto per l'eternità a non incontrare nessuno che voglia bersi un quartino di rosso con lui: se questa non si chiama Giustizia Divina!"
Matteo: "In effetti è diverso da come ci spiegava Don Fausto al catechismo, ma è molto giusto, proprio come dici te... ma chi sono allora quelli che vedo nel parco, ma non conosco?"
Egisto: "Don Fausto, sant'uomo, l'ho rincontrato qui in una chiesetta, mi sono andato a confessare e anche lui si è confessato a me: ha detto che non poteva immaginare fosse così di qua, ma che il padreterno aveva fatto le robe meglio di quanto la mente umana potesse concepire, poi mi ha chiesto di assolverlo per tutte le volte che si metteva a slumare per conturbanti mezzosecondi le terga della Giustina che lavava i piatti a cul busotto (te la ricordi la Giustina? La perpetua, quando puliva il pavimento della chiesa a ginocchioni con quella scollatura da baiadera, la chiesa si riempiva di marmocchi in cerca di redenzione...). Gli sconosciuti che vedi nel parco e che vedrai in girone fuori dal parco, io gli chiamo gli Affini (persone con cui abbiamo modi di pensare o interessi in comune), i Complementari (quelli che la pensano diversamente da noi ma con cui si riesce a ragionare e crescere, oppure hanno interessi "complementari" ai nostri: tipo te adori costruire plastici coi trenini e ne vorresti costruire uno con un paesaggio Sudtirolese, ma non sei mai stato in Val Venosta, il "Complementare" potrebbe essere un altoatesino senza manualità alcuna, ma che da piccolo sognava di fare il capostazione, incontrarsi sarebbe una fortuna per entrambi...) e gli Apparentemente Inerti (persone con cui non si ha "apparentemente" nulla in comune, ma che potrebbero rivelarsi lo stesso buoni amici...), dimenticavo: nessuno che incontrerai potrà ferirti l'anima consapevolmente"
Matteo: "Interessante, nessuno stronzo all'orizzonte per l'eternità, questo è davvero il Paradiso! Ma ascolta come funziona, tocca lavorare qui o saremo mantenuti dallo Stato come uscieri del comune? No perché io da stare con le mani in mano non son buono!"
Egisto: "Bella domanda Matteo, io ti rispondo come mi ha risposto un ragazzino sui venticinque che ho conosciuto qui: si chiama Alan, fa il programmatore di videogiochi ed è convinto che da qui si possa ritornare indietro, per qualche Porta Segreta... allora lui ha paragonato il nostro essere in questo posto ad un partita al sequel del gioco di ruolo Final Brotherhood Creed Fantasy of Persia 11, ma noi che siam capitati qui non abbiamo il libretto di istruzioni, e allora puoi anche startene con le mani in mano, nessuno ti dice niente e la pensione ti arriva lo stesso una volta al mese e te puoi campare lo stesso, ma se si comincia a giocare il tutto si fa più interessante, si sale di livello e si acquistano Item. Adesso Alan lavora come freelance in una software house ed è un po' mezzo suonato, lo incontri in girone a spostare cespugli alla ricerca di Bonus, ma penso abbia ragione, io da quando ho trovato da andare a bottega da un pasticcere, sto molto meglio, lo sai che ho passato la vita intera senza sapere di avere un certo qual talento nel fare le Mousse au Chocolat al Rum?"
Matteo: "Osta Gisto, anche il pasticcere! Mi piace sta storia che siamo noi e solo noi a decidere se dover lavorare o meno, chissà se anche io avrò qualche talento nascosto, o se tornerò a radanar cartacce, che se l'ho fatto per una vita vuol dire che non mi dispiaceva poi tanto... poi chissà se quella Porta Segreta che dice Alan esiste davvero, vorrei tornare indietro per un'istante per dire al mio nipotino Simone quanto gli voglio bene, sai sta crescendo troppo in fretta ed è confuso e senza padre, ho paura per lui..."
Egisto: "Per me quella Porta esiste, ma è una Finestra dalla quale ci si può scorgere appena per dare un'occhiata e per dire qualcosa, non penso si possa tornare indietro. Comunque sia, se esiste, prima o poi la troveremo, così potrai tranquillizzare il tuo Simone, qua il tempo ce n'è a mastellate per far tutto. Adesso ti faccio vedere come si realizzano i sogni da ste parti Matteo, andiamo all'hangar, seguimi!"

I due andarono vicino ad un capanno in cui c'era della legna e raccolsero dei legni, degli scatoloni e due cassette della frutta. Matteo obbedendo ad Egisto lo aiutò a disporre il ciarpame in un pendio erboso, dandogli la forma di un aeroplano, poi Egisto disse: "Forza Capitano Baschetti, vada al posto di comando, io rimango dietro agli armamenti!"
Matteo si scaranò nella cassetta di frutta davanti e rispose: "Ricevuto tenente Miasi, quali sono le direttive di comando, per governare l'aviomobile in questione?"
Egisto: "Mi stupisce Capitano, questo è un Savoia-Marchetti SM79 modello Sparviero, ne abbiamo guidati a bizzeffe, non ricorda? Prenda in mano la cloche e mi raccomando occhi chiusi e mente aperta!"
Matteo un po' si sentì ridicolo, ma afferrò il legno a T insteccato nel terreno e chiuse gli occhi e si accorse dopo alcuni secondi che poteva chiudere anche le orecchie, lo fece.
Un poco rassicurante scaramazzo giunse dalle bielle dei ventisette cilindri dei tre motori Alfa Romeo dell'aeroplano: vide davanti a lui la pista di decollo che lo attendeva, poi riaprì gli occhi e si ritrovò in mezzo ad un parco su un aeroplano fatto di mondezza, nell'aria non c'era più il casino dell'aereo ma un rassicurevole cinguettamento di razzolini, per fortuna il Tenente Egisto Miasi gli disse: "Coraggio Capitano, non è difficile sognare, smetta di pensare alle robe serie e si concentri su quelle importanti: dai alziamo da terra sto catorcio!".
Egisto riafferrò la cloche con maggiore determinazione, richiuse sul serio gli occhi e si accorse che davanti a se la strumentazione era completa e i comandi c'erano tutti. Aprì la manetta del gas mandando a regime il motore, dietro Egisto gli diceva: "Forza capitano, i fassisti non è che sian così contenti che gli stiam fregando sto gioiellino, dai che arrivano!" l'aereo tremava come uno stallone ubriaco col parkinson, dal finestrino Matteo vide le camicie nere che giungevano con ardito impeto per fermare l'infame macchinazione dei pavidi traditori.
Quando i motori arrivarono a tremila giri e la prima Virile Pallottola sibilò audace l'aria, Matteo mollò il pedale del freno e l'aereo cominciò a rullare sulla pista sbangilando a destra, era la rotazione dei motori che faceva così: Matteo non aveva mai guidato veramente un aeroplano, ma sta roba chissà come la sapeva, poi capì: lui non sapeva sta cosa ma molto probabilmente Egisto il Treccani l'aveva letta da qualche parte, i sogni in quel posto erano ancora più belli, si poteva farli e completarli in più persone!
L'aereo alzò il culo da terra e fu meraviglioso, quell'ammasso di acciaio, legno e tela aveva una meravigliosa anima e si faceva guidare nella sua danza nell'aria come fa una debuttante con un cadetto che le cinge la spalla con virile grazia.
Poi iniziarono i combattimenti aerei, tutti epici ed adrenalinici, i nemici cascavano giù come mosconi imbariagati col baygon: l'ultimo duello fu con uno Junkers pilotato da Adolfo in persona medesima, era troppo sicuro di se e lasciava scoperti i fianchi, fu abbattuto in quattro minuti dalle mitragliate di Egisto.
Matteo riaprì gli occhi e si mise a piangere di gioia, abbracciò Egisto e gli disse: "Come è bello sognare in questo posto", Egisto gli rispose: "Anche io avevo una gran voglia di rimontare sul nostro Savoia-Marchetti di cartone dopo ottanta anni, adesso vado, ci rivediamo qui al parco uno di sti giorni, vicino alla fontanina del Gingerino..." e se ne andò.

Matteo rimasto solo, si frugò nelle tasche e si trovò il portafoglio con un po' di soldi, la tessera per ritirare la pensione, la tessera del bus e la carta di identità; guardò l'indirizzo: via Delle Primule 12.
Uscì dal parco, bighellonò un poco, si comprò un sacchetto di ciccioli dal porchettaro (sperava che in paradiso non esistesse il colesterolo...) e prese la linea tredici che portava in via Delle Primule, che constatò essere in aperta campagna, in mezzo ai frutteti. Arrivato al civico 12, quasi gli ricchiappò un colpo: il 12 era un ampio spiazzo di terreno circondato da un muretto di cinta alto un metro, che nel mondo dei vivi non sarebbe neanche bastato a tener fuori i gatti. Con le chiavi che scoprì di avere aprì il cancello: al centro dello spiazzo c'era una gran cadassata di travi in legno, tavelle e altri materiali da costruzione, a lato un capanno in legno. Entrò nel capanno in legno e lo trovò diviso come un mini appartamento di dieci metri, sul tavolo c'erano dei libri: L'arte del Carpentiere, Case Country in legno: guida ai materiali, Costruire Cottage for Dummies e Lo Zen e l'arte di non bestemmiare se ci si da una smartellata sul mignolo; stupito si disse: "E adesso cos'è sta roba? Non mi dovrò mica mettermi a costruire la casa da per solo, va bene che ho sempre saputo doperare tutti i attrezzi, ma qua si fa sul serio:mica c'è da tirar su una mensola, tacare un gancio o rimuovere un carterino di plexiglass.. Ci vorrebbe la Teresa, lei non s'arrendeva mai e sapeva anche usare il Bleccheddecchero!".
Poi diede un'occhiata ai materiali da costruzione e ci vide la sua Mousse au Chocolat al Rum e fu invaso da una enorme felicità; si ricordò di come funzionavano le cose nel posto in cui si trovava, stava pensando alla Teresa con dolcezza, il sogno suo e della Teresa era sempre stato quello di una casa in campagna in legno fatta con amore.
Rientrò nel capanno, andò al tavolo e aprì il primo libro, iniziava con: "Per costruire la vostra casa dei sogni, dovete essere prima in grado di sognarla...", una mano di cui aveva conosciuto il calore per cinquant'anni gli accarezzò il viso.
Per Matteo Baschetti, detto Godzilla, fu l'ultima conferma di essere finito in Paradiso.